La Parrocchia di S. Lorenzo - Brescia

C'è chi fa risalire la prima chiesa al sec. V. L'ubicazione della stessa, fuori della porta della città; la dedicazione a S. Lorenzo, il culto dei due santi vescovi Ottaziano e Vigilio, hanno convinto anche storici "difficili" come il Guerrini che la fondazione primitiva della chiesa di S. Lorenzo si può far risalire alla costituzione di una Diaconia esterna alla "Porta Paganorum", che metteva in comunicazione la città con la estesa campagna della bassa occidentale, compresa fra le strade Brescia-Coccaglio e Brescia-Pontevico, la regione che ha nella toponomastica la memoria sicura della sua densa popolazione di pagani o contadini abitanti della campagna, i quali convenivano alla città specialmente da questa porta, la quale venne perciò chiamata la Paganora, porta dei pagani.

La Diaconia di S. Lorenzo deve essere stata costituita e dotata molto probabilmente dal vescovo S. Ottaziano intorno alla metà del sec. V, l'epoca bizantina durante la quale anche Roma ebbe la riorganizzazione delle sue Diaconie, istituti di pubblica beneficenza che la Chiesa promosse, sotto gli auspici dei tre grandi Santi Diaconi martiri Stefano, Lorenzo e Vincenzo per lenire le piaghe sociali e le miserie lasciate dalle invasioni barbariche.

Il fatto di trovare a S. Lorenzo il culto e le reliquie di S. Ottaziano (la cui festa si celebra il 14 luglio, data probabile della sua morte) lascia facilmente supporre che egli sia stato il fondatore della chiesa poiché i vescovi antichi solevano scegliersi il sepolcro nelle basiliche da essi fondate. Si è anche scritto che la prima chiesa fosse dedicata al Redentore, ma sta il fatto che la dedicazione a S. Lorenzo o fu concomitante od ebbe presto il sopravvento. È, comunque, nel sec. V o VI che la diaconia di S. Lorenzo diventa uno dei nodi di quella rete di carità che con piccoli ospedali e ospizi per viandanti (xenodochi) si estende a tutto il territorio bresciano.

La primitiva chiesa venne sostituita da altra probabilmente nel sec. X o XI. Minacciando di cadere, nel 1496, l'allora prevosto commendatario di S. Lorenzo, il nobile bresciano Bernardino Fabio (Fava), vescovo di Faro (Lesina, in Dalmazia), la restaurò a proprie spese, edificò un nuovo altare maggiore contro il muro dell'abside, e l’11 marzo del 1497, vi collocò le sacre reliquie dei santi vescovi Ottaziano e Vigilio. Sembra che il Fabio si sia limitato a rafforzare il cadente edificio medioevale con alcuni pilastri interni e con archi sopra i quali appoggiavano le travi della copertura della chiesa.

Se si raffronta un capitello di un arco che si trova ancor oggi dietro i mantici dell'organo con quelli delle colonne del portico della canonica (dove ora c'è l'oratorio), si può desumere che egli forse abbia fatto costruire, nello stesso tempo anche la canonica attuale. Nel 1573 il prevosto Camillo Averoldi fece decorare la chiesa dal celebre Lattanzio Gambara che dipinse anche una piccola ma preziosa pala per l'altare maggiore. A destra del coro, con grande disegno, dipinse S. Lorenzo innanzi a Valeriano, che lo invita a consegnargli i tesori della Chiesa; a sinistra delineò un altro grande affresco rappresentante S. Lorenzo che distribuisce i tesori ai poveri. Due altri lavori del Lattanzio stavano nella risvolta del coro: figuravano due fatti, cioè S. Sisto seduto in soglio lieto nel veder S. Lorenzo distribuire ai poveri i tesori, e la condanna del martire.

In questo quadro era dipinto un uomo con veste nera damascata come un mazziere del Papa: si trattava dell'autoritratto del Gambara ed i due ecclesiastici che si vedevano poggiati ad un finto piedestallo, erano i ritratti del prevosto Alessandro Averoldi e quello di un ricco sacerdote che in molta parte contribuì a pagare l'opera del Lattanzio. Completava il ciclo un affresco sulla facciata della Chiesa, rappresentante in mezzo il Cristo con al lato due angeli con strumenti da fiato, e, da una parte e dall'altra dell'arco, Giona rigettato dalla balena e Caino che uccide Abele. Tutti questi lavori furono, dall'Averoldi, dal Carboni e dal Maccarinelli, che li hanno veduti, lodati ed esaltati, ritenuti gli ultimi del Gambara, perché caduto in sul finire dell'opera da un ponte in questa chiesa rimase talmente ferito, che poco dopo morì (1573).

Sulla fine della prima metà del secolo XVII un grande incendio sviluppatosi nella Chiesa rovinò inesorabilmente la grande opera del Lattanzio e fu solo salvato il ritratto del pittore che, strappato dal muro, passò nella Galleria Brognoli ed ora sta nella Galleria Tosio Martinengo. Nella vecchia Chiesa stavano sugli altari, a destra una tavola d'antico ed ignoto autore col Salvatore morto le tre Marie e S. Giovanni; la raccolta della manna nel deserto e l'offerta di Melchisedecco di Pietro Marone; S. Giuseppe d'Arimatea e la Vergine dinnanzi al Cristo morto, dipinto nel 1510 dal Romanino; l'ascesa di Gesù al Calvario di Grazio Cossali; la Vergine col Bimbo e S. Giuseppe che l'Averoldi voleva del Giorgione; San Carlo colla SS. Trinità in alto, di Francesco Giugno, del quale era pure la pittura del Gonfalone che pendeva dal tetto della Chiesa con sopra dipinti diversi Santi.

 

Come annota R. Lombardi, questa chiesa, fatta restaurare dal Fabio e decorata poi dal Gambara, fu quella visitata da S. Carlo. La lettura degli atti della visita ci può dare l'idea della sua architettura e soprattutto degli altari all'interno di essa e degli stabili annessi. Si dice che è abbastanza grande e decorata. Ci sono otto altari, oltre a quello maggiore, tre dei quali, essendo dotati di beni, sappiamo essere intitolati alla Beata Vergine, al Crocifisso, a S. Maria della Neve.

I decreti poi ordinano di ristrutturare oltre l'altare del Corpo di Cristo, quelli della Pietà e del Gonfalone che dovevano trovarsi in fondo alla chiesa, vicino all'ingresso meridionale. Attiguo alla chiesa, il cimitero è adibito a molti usi profani che si dovranno eliminare perché ritorni ad essere zona sacra. La sacrestia, pur essendo ricca di suppellettile sacra, non è adeguata perché troppo piccola ed incapsulata nella base della torre campanaria; al contrario la casa del prevosto è grande, comoda con dei giardini. Nel XVII e all'inizio del XVIII secolo l'edificio ebbe altre migliorie e rimaneggiamenti finché a metà del sec. XVIII si rivelò ormai troppo angusto e cadente.

 

Il problema di una nuova parrocchiale venne posto con lo zelo più vivo dal prevosto Giampiero Dolfin, fin dall'epoca del suo ingresso avvenuto il 10 agosto 1750. Istituita una apposita confraternita, il 7 marzo 1751 ottenne dalla Vicinia con 185 voti favorevoli e 7 contrari, previo l'assenso del Podestà Gradenigo, l'approvazione alla costruzione di una nuova chiesa. Affidatone il progetto all'arch. abate Carlo Corbellini il 10 agosto 1751 veniva posta la prima pietra dal prevosto di S. Nazaro mons. Alessandro Fe'.

Iniziata già nel 1751 la fabbrica procedette fra alterne vicende grazie all'apporto entusiasta della popolazione. L'1 maggio 1763 la chiesa veniva solennemente consacrata dal vescovo di Brescia cardinal Giovanni Molin e a ciò segui un ottavario di preghiere e di feste che coronarono l'opera del Dolfin ritenuta all'inizio temeraria. Del vecchio tempio, visitato da S. Carlo, non rimaneva più nulla se non la statua di S. Lorenzo, attribuita allo scultore Giovanni Carra, la quale è posta tutt'oggi sull'ingresso principale della chiesa. Anche se i documenti del Dolfin fanno riferimento solo all'ing. Domenico Corbellini, il Fenaroli, generalmente ben informato, parla dell'abate Carlo come progettista del nuovo edificio sacro. Giovanni Cappelletto ha rilevato come "la facciata esce dagli schemi corbelliniani, e può richiamare quella marchettiana del santuario di Castenedolo.

È movimentata dalle corpose semicolonne e dalle cornici che aggettano abbondantemente e sopra l'architrave del primo ordine si appesantiscono di un frontone ricurvo, retto da semicolonne ancora più sporgenti delle altre. Il raccordo della stretta facciata con le fiancate che s'allargano gradualmente è fatto a risega, accompagnato da due corpi più bassi, tra lesene, coronati di balaustrino. Non si potrebbe definire un capolavoro, anche se non manca di una certa imponenza. All'interno sembra di rivedere la chiesa di Orzivecchi, con la cupola dal basso tamburo finestrato al posto della vela centrale. Altre notevoli variazioni sono le colonne che sostituiscono le lesene e le cappelle secondarie più strette, addirittura raddoppiate nel primo settore. Ne risulta uno spazio a tre corpi di cui il primo, che raccoglie le prime quattro cappelle laterali, trova perfetta corrispondenza nel terzo cioè il presbiterio e con quello affianca lo spazio cupolato al centro, conferendogli maggiore valore.

Si può notare contrasto tra la leggerezza delle vele e la corposità delle colonne e del loro architrave che grava sulla luce delle cappelle secondarie". Sulla facciata sta la statua di S. Lorenzo opera di Giovanni Carra (secondo il Sala e il Fè) o Prospero Bresciano (secondo il Carboni) e quattro puttini con cartelle, opera di Antonio Callegari. L'interno è maestoso e semplice assieme e risente in anticipo di tendenze neoclassiche. Grandi colonne d'ordine corinzio sostengono l'architrave su cui poggiano le volte della navata e i pennacchi della elegante cupola.

Di Antonio Callegari sono anche quelli che ornano l'altare della Madonna della Provvidenza e i busti degli evangelisti posti nei tondi ai lati della crocera. Entrando dalla porta laterale di destra si trova subito il monumento funerario del vescovo Bartolmeo Averoldi (1538). Vestito, con stola e mitra, sopra un piano inclinato tiene nella sinistra un libro aperto e poggia il capo sulla palma della mano destra, in atteggiamento di assopimento. Sotto, su una lapide, si legge la seguente iscrizione in caratteri capitali romani: "Bartholomeo Averoldo lur. V. Consultiss X episcopo X Chlamone integer. Alexander Decre, Doct. Prot. Apost. Canonicus Brix est polen, ac huius Basilicae praepos, Frater Maestiss. Et sibi vivens posuit anno salut. M.D. XXX VIII". Proviene dalla chiesa precedente e doveva essere racchiuso in ben definito ordine architettonico.

È mediocre opera locale. Di fronte alla porta laterale destra si trova un grande quadro di Grazio Cossali (m. 3,80x2,30) raffigurante l'"Andata di Gesù al Calvario". Opera mediocre firmata "Gratius Cossali fac. 1616"; fu ed è ancora in parte in grande venerazione. Raffigura nel mezzo, il Cristo che porta la croce in spalla, s'incontra con Maria, che lo abbraccia. Un gruppo di donne a destra, tra le quali, in primo piano, appare la Veronica col velo. A sinistra, sul davanti, uno sgherro, visto da tergo, torso e gambe ignudi, tira con una corda il Redentore perchè affretti il cammino. Nello sfondo un armigero sul cavallo impennato e soldati con una prospettiva sulla città.

Il primo altare a destra, salendo dal fondo della chiesa, è dedicato a S. Biagio vescovo. Vi campeggia una tela ad olio (m. 3,80 x 2) raffigurante il santo, in paludamenti vescovili, con la mitria, seguito da un chierico col pastorale, si china a benedire un bimbo ammalato, sorretto dalla madre genuflessa, che attende il miracolo. Un fanciullo e una donna guardano ansiosi, mentre a sinistra in primo piano un uomo dal torso ignudo, facendo da quinta, addita il bimbo. opera mediocre, di derivazione settecentesca veneziana ed è già registrata nelle guide del 1791.

Il secondo altare di destra è dominato da una mediocre tela del Crocefisso. Al centro il Cristo reclina il capo, alla base della croce due teschi, sullo sfondo una veduta della città, appena visibile fra le tenebre. Rimosso decenni fa e collocato a sinistra dell'altare venne rimesso in luogo negli ultimi mesi del 1935. Sul terzo altare campeggia una tela (m. 3,8 x 2) raffigurante la Madonna della Misericordia di Sante Cattaneo. Pesante e oscura, raffigurante nel centro la Vergine in veste rossa e manto turchino cupo, seduta tra le nubi e circondata da angioletti, tiene il Putto con la sinistra e abbassa la destra per proteggere il gruppo dei devoti in terra, tra i quali, a sinistra, v'è una giovane donna genuflessa, in atto di ardente invocazione alla Madonna, mentre altre donne con bimbi e bimbe si trovano più all'ombra verso il fondo. Due angioletti, ai piedi di Maria, recano il cartiglio: Mater Misericordie.

Prezioso al centro del presbiterio è l'altare maggiore tutto rivestito di marmi preziosi, verde antico, lapislazzuli, onice, con ricche applicazioni di metallo dorato. Sotto alla mensa, l'urna in marmo carrarese e verde antico, contenente i corpi dei santi vescovi bresciani Ottaziano e Vigilio. Un grande tabernacolo campeggia in mezzo all'altare, tenuto basso per lasciar libera la visuale della tela retrostante del Cignaroli. La parte inferiore del tabernacolo presenta due nicchie, entro cui stanno le statuette di S. Lorenzo e della Vergine. Sulla portella di lapislazzuli è dipinto il Cristo benedicente.

La parte superiore ha colonnette di marmo venato e sopra il fastigio si ergono statuette di bronzo. Nell'abside sta una pala (m. 5,50 x 2,80) di Giambettino Cignaroli definita stupenda pittura piena di vita e di movimento, brillante di colore, considerata come una delle migliori dell'artista. Raffigura il giovane Santo, ignudo, accosciato sulla graticola, volge il capo al cielo alzando la sinistra, per invocare l'aiuto divino. Uno sgherro appoggia una mano alla spalla del Santo; un altro tiene una forca; mentre un servo s'affanna a soffiare con un mantice nel fuoco che arde sotto la graticola.

Un alabardiere assiste impassibile al martirio, un vecchio esorta il Santo. Una giovane donna seduta a terra presso un bimbo ed un vecchio si nasconde il volto per l'orrore. Dall'alto dei cieli scendono un angelo ed un puttino recanti la palma e la corona del martirio. Scendendo dal presbiterio nella navata sul lato di sinistra si trova l'altare dedicato all'Angelo custode, con una tela (olio su tela centinata m. 3,20 x 2) di Sante Cattaneo raffigurante l'Angelo Custode che appare in un paesaggio solitario, tenendo per mano un bambinello, che sta portando in salvo. Un nastro turchino avvolge il putto, mentre l'angelo è paludato di vesti bianche, lilla chiare e giallo pallide, con un roseo nastro intorno alla vita e al braccio.

Viene definita da Antonio Morassi come franca e vivace pittura di netta derivazione dal Carboni e dal Pittoni. Segue una mediocre tela raffigurante S. Maria Crocifissa di Rosa: la santa è raffigurata contro il cielo, ai piedi la città di Brescia. Il secondo altare di sinistra è dedicato alla Madonna della Provvidenza. L'altare è tutto rivestito di marmi versicolori, bianco carrarese, onice, lapislazzuli, con ricche applicazioni di cornicette e cartocci in metallo dorato.

Dietro all'altare, sotto alla pala del Lorenzi, in una ricchissima cornice in marmi e metalli sta l'affresco della Beata Vergine della Provvidenza, totalmente ridipinto, ma che, nella sua forma originaria, come si desume dalla composizione, sembra risalire al Trecento o ai primi del Quattrocento. La cornice stessa è di marmi versicolori, con applicazioni di metallo dorato. Intorno è drappeggiata una grande tenda marmorea turchina, sorretta puttini volanti, scolpiti da Callegari.

La pala (olio su tela m. 4,50 x 2,70) che accoglie il quadro della Madonna della Provvidenza è opera di Francesco Lorenzi, di imitazione tiepolesca. Raffigura la Vergine, in veste rosata e manto ocra chiaro, seduta sopra una piattaforma a gradoni, tiene con la destra il Bimbo ignudo che siede nel suo grembo, e con l'altra accarezza il S. Giovannino, che s'appressa a Gesù, prendendogli il piede. Dietro a lei, S. Anna, vestita di verde oliva, e S. Gioacchino, con manto color nocciola.

A destra un vecchio in manto rosso appoggiato ad un bastone; nello sfondo un uomo barbuto con turbante e, in lontananza, un'arcata bianca con fregio a triglifi. In alto, circondato da una schiera d'angeli e di putti, il Padreterno benedicente. Il primo altare di sinistra è dedicato a S. Carlo Borromeo. E' una pala (olio su tela, m. 3,80 x 2) opera di Francesco Giugno, di imitazione palmesca, che rappresenta il santo con dalmatica e pallio, ascende al cielo allargando le braccia, circondato da una folta schiera di putti e d'angeli, uno dei quali reca la mitra vescovile tra le braccia. In alto tra le nubi, il Padreterno e il Redentore accolgono il Santo.

Grazie al prevosto don Ottavio Ermanni venne arricchita di una preziosa reliquia di S. Carlo, trasportata con grande solennità da Milano a Brescia. Nel battistero, ai lati di un affresco raffigurante il Battesimo di Gesù, sono raccolte due opere di Pietro Marone, l'una raffigurante la caduta della manna, l'altra Abimelech che porge a Davide i pani del sacrificio. Nella crocera sono poste, sui quattro lati, tele raffiguranti i diaconi SS. Stefano e Lorenzo e i vescovi SS. Vigilio e Ottaziano e gli altorilievi in stucco dei quattro Evangelisti, opera di Antonio Callegari. Belle tele del settecento veneto che raffigurano S. Giuseppe col Bambino, S. Luigi, l'Adorazione dei Magi sono conservate in canonica. Preziose anche le reliquie raccolte nella Chiesa.

Nell'urna artistica in marmo verde e ornata da bronzi dorati posta sotto l'altare maggiore sono raccolte le spoglie del vescovo S. Ottaziano. In due busti antichi sono raccolti i crani di S. Vigilio e S. Ottaziano, la cui ultima ricognizione porta la data 13 novembre 1755. In un ricchissimo e artistico reliquario è racchiuso parte di osso di S. Lorenzo M., autenticato il 9 agosto 1852. Una reliquia (un braccio) insigne di S. Biagio, è custodita in un'urna sull'altare a lui dedicato e venne autenticata il 7 dicembre 1799. La chiesa custodisce numerosissime altre reliquie di santi un tempo esposte la festa di Ognissanti sull'altare degli Angeli Custodi. La chiesa è ricca di arredi fra cui un quadretto votivo in lamina d'argento (prima metà del '700) lavorato a cesello e sbalzo raffigurante la Madonna e il Bambino; un calice d'argento, cesellato con coppa dorata (sec. XVII), nel piede raffigurate la flagellazione di Cristo e la Salita al Calvario, altri calici, fra cui uno firmato da Vincenzo Elena (1790), un reliquiario di S. Lorenzo (sec. XVIII) due ostensori (sec. XVIII) un turibolo in lamina d'argento ecc.

La chiesa possiede anche paramenti sacerdotali: specialmente una pianeta e tunicelle in broccato del Seicento, una pianeta in cordonetto rosso ricamata del '700 ecc. L'organo venne costruito da Francesco Marchesini negli anni 1863-1864 ed è provvisto di 15 registri e di 30 canne. Nel 1926 venne posto il nuovo pavimento della chiesa e nel 1958 installata alla porta centrale una nuova elegante bussola opera del rovatese Giacomo Ottaviani. I restauri e gli abbellimenti più importanti furono eseguiti sotto i parrocchiati di don Pietro Falcina (1880-1897) e di don Battista Cavesi (1961-1984).

 

La chiesa divenne parrocchia probabilmente nel sec. XIV. Nel 1375 vi risiedeva ancora un "presbyter" o cappellano della città di Brescia. Nel 1311 fu campo di aspre lotte fra guelfi e ghibellini; soverchiati dai Guelfi, i Maggi e i loro aderenti Ghibellini si fortificarono tra la chiesa di S. Lorenzo e il ponte dei Farziani (ove ora sorge il Teatro Sociale) in attesa di rinforzi da Cremona e Bergamo riuscendo con questi a disperdere i guelfi. Nel 1384 è nominato come parroco un certo Pietro. Il primo prevosto fu don Alberico Lovattini, che resse la parrocchia intorno al 1412.

Vastissima rimase la giurisdizione parrocchiale che si estendeva "più miglia in campagna". Anche le disposizioni di S. Carlo del 1581 per le quali parte della campagna doveva essere annessa alla parrocchia di Folzano, vennero disattese. Soltanto dal 1798 al 1799 per intervento governativo, parte della campagna venne unita alla nuova parrocchia della Volta, ma subito venne reintegrata in quella di S. Lorenzo. La quale, d'altro canto, per la soppressione dell'Ordine dei Servi di Maria allargava la sua giurdisdizione su tutto il territorio di S. Alessandro, dalla porta di S. Alessandro al cantone del Bruttanome fino all'Ospedale Maggiore e ciò fino all'aprile 1799 quando venne ricostituita la parrocchia di S. Alessandro.

L'influenza della Chiesa di S. Lorenzo sul territorio fu fin dagli inizi determinante. La parrocchia ebbe sempre accanto il piccolo ospedale, l'ospizio per viandanti e il ricovero dei poveri; la zona andò sempre più arricchendosi di opere assistenziali. Nel sec. XIII la chiesa venne racchiusa nella terza cerchia delle mura (iniziate nel 1233 e terminate nel 1254) sulle attuali vie Spalti di S. Marco e via Vittorio Emanuele; nel frattempo vi si stanziano gli Umiliati che danno vita ad un’organizzazione artigianale della lavorazione della lana oltre che continuare l'assistenza e carità. Ad essi passano probabilmente i beni dell'antica Diaconia con case, ortaglie, il molino sul Garza oltre che altri beni che in luogo aveva il monastero di S. Giulia.

La casa degli Umiliati fondata da Alberico Gambara, si chiamò appunto de Gambara. Nel territorio della parrocchia sorsero altre due case di Umiliati: quella detta di Quinzano (dove oggi è la chiesa di S. Luca) e quella detta di S. Marco de Medio. Accanto alla chiesa parrocchiale vennero erette la chiesa di S. Maria Maddalena e una nuova casa della Carità dove veniva esercitata la beneficenza pubblica e l'ospitalità, e che erano state la prerogativa dell'antica diaconia. Il nome di questa casa è rimasto poi all'albergo Gambero scomparso non molti anni fa. La parrocchia di San Lorenzo, nella modestissima casa ora segnata col numero 30 aveva un duplice oratorio, uno a pian terreno, a primo piano l'altro, ed ambedue dedicati a San Lorenzo detto poi S. Lorenzino per distinguerlo dal titolo della matrice; da qui il nome dato alla contrada.

Il primo era officiato dai Rosarianti, quello alto dai Disciplini. Quando siano stati fondati non si sa. Soppresse le confraternite nel 1797, divenne proprietà demaniale, indi comunale, ed una scuola elementare occupò la parte superiore, l'inferiore era allora concessa ad un oratorio da ragazze. Cessata poi questa adunanza e trasferita altrove la scuola, il Comune usò tutta quella casa quale caserma degli accenditori del gas, che prima stanziavano al Broletto ed a S. Cassiano. Nell'oratorio superiore vi era una tavola rappresentante il martirio di S. Lorenzo di Alessandro Maganza e figli. Nell'inferiore si vedeva un quadro di Camillo Rama con dipinto la Vergine, S. Domenico e S. Carlo in alto, S. Lorenzo e S. Stefano al basso in atto di adorazione.

In luogo più non vi sono, e dove siano passati, si ignora. Caduto l'Ordine degli Umiliati, nella loro casa entrarono le Agostiniane, qui trapiantate dall'angusto monastero di S. Urbano. Nel contesto parrocchiale poi nel 1420, sotto l'egida dal Consorzio di Carità chiamato di S. Spirito de Dom, nasceva, attraverso un accorpamento dei beni e dell'attività di molti altri piccoli ospedali dislocati nelle varie parrocchie, l'Ospedale Maggiore. Ebbe sede dapprima a S. Luca, sull'area della casa degli Umiliati di Quinzano per allargarsi poi al quadrilatero compreso tra via S. Martino della Battaglia, Corso Palestro, via Cavallotti e via Moretto. L'ospedale dal 1845 in poi si trapiantò nell'ex Convento dei Domenicani.

Ma bisogna annotare che, proprio accanto a questo convento che aveva già una sua casa di carità, fin dal cinquecento esisteva l'ospedale delle donne al quale era legata la bella chiesa della Pietà distrutta nel 1846 per far posto all'ex Farmacia dell'Ospedale, mentre in fondo alla piazzetta di S. Lorenzo un arco ricorda ancora l'esistenza del Manicomio maschile, sorto sul convento delle Agostiniane e, ancora, sulla via Moretto si affacciava il brefotrofio provinciale, al quale si accedeva dal n. 54 di via Moretto.

 

Presso gli spalti probabilmente dove è ora la Camera di Commercio, sorse agli inizi del '500, ad opera di alcuni aderenti alla Compagnia del Divino Amore, l'Ospedale degli incurabili, dove S. Gerolamo Emiliani fu ospite ed elaborò il progetto di aprire l'orfanotrofio maschile. Nel campo della carità ebbe importanza la Commissaria dei poveri costituita con fondi donati dal 1544 in poi. La Commissaria venne concentrata nella Congregazione di Carità nel marzo 1893. Nell'ambito della parrocchia a S. Orsola esistette anche la Casa Madre della Compagnia di S. Angela e più tardi venne fondato il Collegio delle Magie o delle Mazze, storpiatura del nome Maggi, perché fondata dalla contessa Virginia Maggi agli inizi del '600 per l'educazione e l'istruzione delle fanciulle.

Ad esso farà riscontro nel 1827 il collegio tenuto da don Veronesi e negli ultimi anni dell'ottocento un'altra provvida istituzione educativa, l'Asilo S. Giuseppe fondato dall'avvocato Giuseppe Tovini e affidato alle Ancelle. La canonica fu anche centro culturale di rilievo. In essa ebbe sede una specie di accademia culturale ecclesiastica nella quale nel 1548-1579 avrebbe forse insegnato Nicolò Tartaglia. Nel 1570 e negli anni seguenti vi si tennero convegni di cultura sacra per il clero. Venuta a mancare, con la soppressione dei conventi, la presenza altamente qualificata sul piano dottrinale dei Domenicani, oltre alla Dottrina che continua in parrocchia si aggiunge nella chiesa di S. Domenico una organizzata e prestigiosa scuola della dottrina cristiana fondata nel 1815, una vera e propria scuola che raccoglie circa 250 parrocchiani (fra cui ricordo Tito Speri e il duumviro delle X giornate Luigi Contratti).

La Dottrina Cristiana, per molti anni diretta dal nob. Clemente di Rosa, fu sempre in auge in parrocchia. In rilievo fu la sacra predicazione e le orazioni stampate in occasione delle feste annuali della Madonna della Provvidenza. Rimasero memorabili tra l'altro le Missioni al popolo predicate nel febbraio 1883 da mons. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona. Nell'800 continuarono anche le opere assistenziali. Alle sordomute venne incontro Paolina Di Rosa che impiegando una buona maestra di Vione, Domenica Pietroboni, apre una scuola per la loro riabilitazione.

La sua è una gara generosa con un'analoga iniziativa promossa da un altro parrocchiano di S. Lorenzo, il ven. Lodovico Pavoni battezzato nella parrocchiale. Quando nel 1835 scoppia il colera, è ancora Paolina Di Rosa che organizza l'assistenza ai colerosi ed è nella parrocchia di S. Lorenzo che nasce poco dopo la subito fiorente Congregazione delle Ancelle della Carità. Proprio nella Casa madre delle Ancelle nel 1866 nasce l'Oratorio femminile parrocchiale. Sempre nell'ambito della parrocchia nasce per iniziativa di Pietro Riva l'Istituto per i sacerdoti infermi, cui si sostituirà poi l'Ospedale di S. Orsola dei Fatebenefratelli. Anche nel sec. XX la parrocchia sviluppò opere sociali di rilievo come il ritrovo per operaie, sorto in canonica per iniziativa di Catina Gussago Zanardini e del prevosto Pedercini.

Nel 1913 la stessa Gussago Zanardini cedeva l'avviatissima macelleria di via del Cavalletto per farne una cooperativa i cui proventi dovevano andare al movimento e alla stampa cattolica. Nell'ambito della parrocchia nel secondo dopoguerra nascevano una Cooperativa di consumo delle ACLI e, per iniziativa di Maria Capoduro e di Marì Bosetti, veniva aperta una scuola di artigianato femminile, fiorente per alcuni anni. Sempre più attivo fu l'oratorio maschile, nel cui ambito il 6 dicembre 1925 venne inaugurato un salone-teatro fiorente specie durante il parrocchiato di mons. G.B. Bosio; presente era l'Azione Cattolica il cui gruppo uomini ebbe come presidente Astolfo Lunardi, intrepido capo della resistenza cattolica.

Nel II dopoguerra venne a lui dedicato un forte reparto di scout. Colpito da bombardamento nel 1943 il complesso parrocchiale veniva ricostruito a partire dal 1949 in poi, ampliato in seguito sotto i parrocchiati di don Rigosa e don Canesi.

 

Prevosti: Alberico Lovati o Lupatini (1412) il primo col titolo di prevosto; Silvestro de Scacciosi, novarese (1458-1470 c.); Bernardino Fabbio, di Brescia, vescovo di Lesina, commendatario (1470-1514 c.); Alessandro Averoldi, bresciano, commendatario (1514-1538 c.); Camillo Averoldi (1538-1578), Antonio Averoldi (1578 - 6 aprile 1592), Ottaviano Ermanni (1592 - 13 luglio 1662), Giov. Paolo Mazzoli, di Bienno (20 marzo 1662 - 8 giugno 1680); Bartolomeo Coderini de Riva (1680 - 8 aprile 1701); Vittore Guerra, di Treviso (2 maggio 1701 - rinuncia l'1 luglio 1709), Giuseppe Gelsi, veneziano (3 agosto 1709 - 3 marzo 1726 a Venezia), Vincenzo Margherita, di Brescia (28 giugno 1726 - 29 novembre 1749), Giovanni Pietro Dolfin, veneziano (6 agosto 1750 - 21 febbr. 1770); nob. Alessandro Palazzi, di Brescia (7 sett. 1770 - m. 26 agosto 1786), Giuseppe Alceo Treccani, di Manerbio (4 nov. 1786 - m. 7 maggio 1800), Faustino Rossini, di Brescia (28 giugno 1806 - rinuncia 27 marzo 1807); Carlo Campadelli, di Bagolino (10 agosto 1080 - 21 dicembre 1828), Giuseppe Zubani, di Marmentino (6 febbr. 1829 - 23 dic. 1855); Lodovico Gentili, di Chiari (2 giugno 1856 - 17 marzo 1880), Pietro Falcina, di Brescia (luglio 1880 - 19 gennaio 1897), Domenico Pederzini, di Vesio (7 febbr. 1898 - 20 febbr. 1927); Giov. Battista Bosio (1927-1948); Pietro Rigosa (1948-1961), Battista Canesi (1961-1984); Franco Della Torre (1984-1997); Andrea Brida (1997-2010); Renato Tononi (2010-2019); Oliviero Faustinoni (2019-2020); Claudio Boldini (2020-2023); Giovanni Manenti (2023).

[tratto da A. Fappani, Enciclopedia Bresciana, Vol. VII, Edizioni La Voce del popolo, Brescia 1987, pp. 282-285].