L’edificazione della chiesa di S. Lorenzo - Brescia
7 marzo 1751, domenica. Nella chiesa di San Lorenzo, in Brescia, si riunisce la “General Vicinia”, istituzione di antica storia civile, rappresentativa della volontà degli abitanti del quartiere, in materia di decisioni da prendere su questioni concernenti la comunità. Il tempio è affollato di Laurenziani, desiderosi di apportare il proprio contributo personale, anche se per il momento a sola valenza decisionale, ad un nuovo tassello da inserire nella storia del borgo. La quale storia sta per arricchirsi di una appassionante pagina di fede e di arte.
È presente alla riunione il prevosto Giovan Pietro Dolfin, a San Lorenzo dall’agosto dell’anno precedente, trasferitovi da San Zeno al Foro. Lo ha qui preceduto fama di santo pastore, e di ottimo realizzatore dell’opera di ricostruzione di quella parrocchiale, avuta in consegna nel 1735, in condizioni di strutture murarie al limite del crollo. Espresse le varie opinioni, l’assemblea laurenziana passa alla votazione dell’ordine del giorno; 185 sì (contro 7 no) attestano la volontà di affidare al prevosto Dolfin l’incarico di procedere alla ristrutturazione del San Lorenzo. È inoltre chiaramente dichiarato dai parrocchiani il singolo impegno di contribuire all’impresa: i motivi a supporto sono di ordine spirituale, ma ne va anche del prestigio del quartiere, che in un certo senso coglie l’occasione per misurarsi con la città, dove le novità in materia di sacre edificazioni stanno facendosi molte, e di grande rilievo, nella scia di rinnovamento voluto dal vescovo, cardinale Angelo Maria Querini.
Non v’è dubbio che interventi alle strutture del tempio siano ormai indilazionabili. Il pavimento è sconnesso in più punti, con vistosi cedimenti; l’umidità regna sovrana, a testimoniare i frequenti disalveamenti del Garza, che scorre poco lontano, irriguardoso, in regime di piena, delle case degli uomini e di quella del Signore; i tetti denunciano pesantemente l’affronto degli anni e delle intemperie. Sul lato destro dell’aula stanno tre cappelle, con dediche, in successione dall’ingresso, al Santissimo Corpo di Cristo, alla Passione, alla Madonna della Misericordia; sul lato sinistro, una sola cappella, con dedica a san Carlo Borromeo; in presbiterio, l’altare maggiore, a gloria del martire titolare. La decorazione pittorica, in affreschi, tavole, tele, ha il fascino di antiche tavolozze: quelle di Pietro Marone, Prospero Rabaglio, Lattanzio Gambara, Girolamo Romanino, Francesco Giugno, Grazio Cessali, Pietro Ricchi il Lucchese; e di anonimi.
Approvato dunque dalla “General Vicinia” il documento del 7 marzo, il cantiere ha ufficialmente apertura. Il fervore è grande. Con il benestare della Curia, si costituisce una confraternita «pro Fabrica», i cui membri, «dell’uno e dell’altro sesso», assumono l’impegno di una contribuzione settimanale di due soldi, nonché quello, per gli uomini, di prestare «gratis et pro Deo» opera manuale; per le donne, altre incombenze, quali la “cerca” finalizzata a raccogliere elemosine. La confraternita assume la denominazione di «Suffragio della Fabrica», ed è gratificata di particolari “vantaggi spirituali”, concessi da papa Benedetto XIV con breve in data 21 maggio 1751.
Sulle vicende del cantiere, che rimarrà operativo fino al 1763, abbiamo una preziosa documentazione, lasciataci dal prevosto Dolfin nel suo Libro della Fabrica di San Lorenzo, manoscritto che si conserva nell’archivio della prepositurale.
Abbandonando subito il progetto di mera “ristrutturazione”, l’impegno edilizio si configura come edificazione “ex novo” del tempio. La posa della prima pietra è documentata al 10 agosto dello stesso anno 1751. La consacrazione solenne della nuova chiesa si avrà il 1° maggio del 1763.
I lavori non mancano di incontrare difficoltà, puntualmente registrate nel Libro del Dolfin. C’è una forte resistenza da parte della famiglia Averoldi, che ha giuspatronato sulla cappella della Madonna della Misericordia, in predicato di essere demolita per i progettati ampliamenti in pianta della chiesa; altri interessi degli Averoldi vengono ad essere implicati nelle demolizioni, in relazione agli stabili di pertinenza del giuspatronato, limitrofi alla chiesa. Anche la Confraternita del Santissimo Sacramento oppone resistenza, sempre per la questione delle demolizioni, interessanti la cappella di titolarità.
Con pazienza, tenacia, e fede somma nell’opera intrapresa, il prevosto Dolfin riuscirà ad avere ragione delle avversità, e a portare a compimento il nuovo splendido tempio, tuttora sotto i nostri occhi, che ci apprestiamo ad illustrare.
Non prima, però, di aver speso due parole sulla chiesa precedente.
Di un luogo di culto dedicato al santo diacono martire si parla in documenti risalenti all’undicesimo secolo: nell’ubicazione dell’attuale, allora però al di fuori della cerchia delle mura urbiche. Un catalogo dei vescovi bresciani redatto in quel secolo indica «ad Sanctum Laurentium» la sepoltura del vescovo Ottaziano, alla guida della diocesi bresciana intorno alla metà del secolo quinto. Si congettura che lo stesso vescovo Ottaziano abbia fatto edificare la chiesa, dando credito alla tradizione secondo la quale un vescovo veniva sepolto in una chiesa da esso fondata. I resti di Ottaziano, venerato come santo, sono tuttora conservati a San Lorenzo, in urna marmorea collocata sotto l’altare maggiore, unitamente a quelli del santo vescovo Vigilio, ritenuto suo successore sulla cattedra bresciana.
Interventi di rilievo sulle primitive strutture si registrano verso la fine del quindicesimo secolo, per volere del prevosto del momento, Bernardino Fabio.
In particolare, «quattro Pilastri per parte erano stati aggiunti alli muri laterali della Chiesa che erano dei stessi Pilastri ancora più vecchi. Servivano essi Pilastri per fortificare i detti muri, e formavano dalla parte verso strada l’imboccatura di tre Cappelle; sostenevano indi essi quattro archette sopra delle quali appostavano le trezzere e le tegole, le quali formavano il copertume della Chiesa»5.
Agli inizi del Cinquecento, splendido apporto pittorico, per la cappella della Passione, è una tavola di Girolamo Romanino, Compianto sul Cristo morto, firmata e datata MDX. MENSE DECEMBRIS. Il dipinto, presente in San Lorenzo almeno fino al 1817, poi peregrino in collezioni private in Italia e in Inghilterra, è conservato attualmente presso le Gallerie dell’Accademia in Venezia6. Altri contributi alla straordinaria stagione d’arte del Cinquecento laurenziano sono legati ancora al nome di Girolamo Romanino, nonché ai nomi di Callisto Piazza da Lodi, Lattanzio Gambata, Pietro Marone, Prospero Rabaglio. Nel prosieguo delle presenti note avremo modo di ritornare sulle opere di questi artisti, nonché sul fulgore, nel secolo citato, della Confraternita del Santissimo Sacramento.
Nel Seicento, la chiesa si arricchisce del culto ad un nuovo santo, il Borromeo, con dedica di altare e decoro pittorico di Francesco Giugno. Le devozioni alla Passione e al Corpo di Cristo mantengono costanza di intensità, ed hanno riscontro negli apporti d’arte per le rispettive cappelle, in marmoree strutture e dipinti; le tavolozze chiamate sono quelle di Grazio Cessali e di Pietro Ricchi il Lucchese. Anche su questi contributi ritorneremo.
E si arriva al Settecento. Con l’opera intrepida, e mirabile, del prevosto Giovan Pietro Dolfin.
Tratto da La Chiesa di San Lorenzo in Brescia. Dalla memoria alla bellezza, a cura di Rosanna Prestini, Editrice La Scuola, Brescia 2001, pp.8-9.